Casi e Questioni
18/11/2025

Locazione di fabbricati a destinazione abitativa: cedolare secca anche con canone variabile

Locazione di fabbricati a destinazione abitativa: cedolare secca anche con canone variabile

Il caso

Mario Rossi è proprietario di un appartamento nel centro di Milano.

Egli intende stipulare un contratto di locazione con le seguenti pattuizioni: per la prima annualità il canone è pari ad € 1.000, per il secondo anno € 1.500, dal terzo anno in poi il canone viene invece pattuito in € 1.800.

Mario Rossi intenderebbe optare per la tassazione cedolare dei canoni di locazione; questa soluzione è possibile, oppure il fatto che il canone si modifichi nelle successive annualità costituisce un ostacolo all’accesso alla tassazione cedolare?

La soluzione

L’art. 3 del D.Lgs 23/11 prevede un regime di tassazione dei canoni di locazione dei fabbricati alternativo alla tradizionale tassazione ordinaria: tale istituto consente di tassare in maniera proporzionale i canoni di locazione percepiti, tramite un’aliquota che ordinariamente è del 21%, ridota al 10% per alcune tipologie di contratti.

Oltre ad essere un prelievo sostitutivo di Irpef ed addizionali, essa esonera anche dal pagamento dell’imposta di registro e di bollo su tale contratto.

L'opzione per il regime della cedolare secca è possibile solo per il locatore persona fisica che sia titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento sull'immobile; detta locazione, per accedere alla cedolare, deve avvenire al di fuori dell'esercizio di imprese, arti o professioni, in quanto risulta un prelievo sostitutivo sul reddito fondiario.

La cedolare secca può essere applicata, in alternativa al regime impositivo ordinario, in relazione alla locazione di immobili ad uso abitativo (catastalmente censite in categoria A, diverse da A/10) e impiegati per uso abitativo; possono beneficiare del regime sostitutivo anche le pertinenze non abitative dell'abitazione, se locate congiuntamente all'abitazione; nella CM 26/E/11 l’Agenzia precisa che la tassazione cedolare è applicabile anche alle pertinenze concesse in locazione con un contratto successivo e separato, a condizione che tale contratto intercorra tra le medesime parti contrattuali del contratto di locazione dell'abitazione e faccia riferimento al contratto di locazione dell'abitazione, evidenziando l'esistenza del vincolo di pertinenzialità.

Tale regine di tassazione è stato transitoriamente esteso ai contratti riguardanti i fabbricati commerciali destinati a negozio, classificati nella categoria catastale C/1, di superficie massima pari a 600 mq stipulati nel 2019; se detti contratti sono ancora oggi in essere possono beneficiare della tassazione piatta, con aliquota del 21%.

Venendo al tema che interessa per la soluzione del caso proposto, tra le previsioni che regolano la cedolare vi è il divieto per il locatore di praticare aggiornamenti di canone a carico del conduttore. Nel c. 11 dell’art. 3 del D.Lgs. 23/11 è infatti previsto che:

“Nel caso in cui il locatore opti per l’applicazione della cedolare secca è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione, la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente. L’opzione non ha effetto se di essa il locatore non ha dato preventiva comunicazione al conduttore con lettera raccomandata, con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone a qualsiasi titolo. Le disposizioni di cui al presente comma sono inderogabili.”

Quindi il canone pattuito inizialmente non può in alcun modo essere adeguato in corso di contratto e qualunque diversa pattuizione risulta illegittima.

In tema di canoni crescenti, il dubbio che si pone è se tale dinamica del canone pattuito in qualche modo possa qualificarsi come “aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT” ipotesi che come detto è preclusa dalla norma istitutiva.

L’Agenzia si è espressa con riferimento ad un caso non dissimile, tramite la risposta ad interpello 340/19: in relazione ai fabbricati commerciali si è affermata la possibilità di stabilità un canone variabile (nella fattispecie, parte del canone risultava fisso, mentre un’altra parte era commisurato al fatturato prodotto nel punto vendita).

Sul punto l’Agenzia osserva che vi è una differenza sostanziale tra l’aggiornamento del canone di locazione per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, di cui all’art. 32 della legge n. 392, e la pattuizione di una quota del canone di locazione in forma variabile.

Pertanto, l’Agenzia conclude favorevolmente al contribuente; deve infatti ritenersi che la previsione contrattuale presente nel contratto di locazione, che fa dipendere la quota variabile del canone dal fatturato del conduttore, non rientri nel campo di applicazione del citato comma 11 (che vieta l’aggiornamento del canone) e, come tale, non risulta di ostacolo all'assoggettamento del contratto stesso al regime della cedolare secca.  

Posto che la norma che regola il divieto di aggiornamento del canone per l’accesso alla cedolare è la medesima (anzi, è la disciplina delle locazioni commerciali che rinvia a quella delle locazioni abitative in forza del c. 59 dell’art. 1 della L. 145/18) pare che le medesime considerazioni possano essere estese ai fabbricati abitativi.

Nel caso proposto, il canone non è rapportato ad una grandezza variabile (il fatturato), ma è scalettato con una regola pre-determinata in sede di stipula del contratto; questo però non cambia le considerazioni, posto che in entrambi i casi la modifica del canone non può essere confusa con un adeguamento monetario (quest’ultimo, come detto, vietato ai fini dell’accesso alla cedolare).

a cura di Fabio Garrini per Centro Studi Tributari di Euroconference

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